"Il Palpito della terra" di Laila Bohnenbergher all'ARVIS di Palermo



Un’operazione complessa, con un progetto ricco di tecnica creativa e che segue un filo logico … sconfinato.
Sono tanti i messaggi inseriti nell’ambito della mostra, con delle allusioni esplicite, coerenti alla sinossi, e tante simbologie rivolte all’osservatore che potrà leggerle liberamente anche nelle provocazioni concettuali.
Iniziamo con riportare la sinossi dell’autrice:
“IL CORPO IN MOVIMENTO ENTRA IN SINTONIA CON IL MOVIMENTO DELLA TERRA.
Immergersi nella materia, ritornare all’essenza, alla pianta: questo è il desiderio dei corpi femminili che fotografo. L’ambiente si imprime su di loro, la pelle è mimetica con gli elementi che la circondano, la Natura diventa un mantello.
A volte i corpi si sentono al sicuro. Si fondono teneramente con l’arredamento. La forza della Natura e la forza femminile sono in armonia. Entrambi in ascolto, il ciclo femminile si lega al ciclo lunare. La pace regna, la fusione è omogenea.
Ma con una tecnica di sovrapposizione mostro anche che questa Natura si ribella. Diventa incontrollabile, invade gli esseri umani, li imprigiona.
Corpi avvolti, la Natura diventa tela o rete. Congela coloro che l’hanno ferita nel tempo.”
Con le opere esposte Laila Bohnenbergher affronta gli aspetti esistenziali destinati a non trovare mai risposte, se non quelle assolute: ovvero che qualunque forma di vita rimane collegata alla relatività del suo “spazio/tempo”.
Da visitatore della mostra, tenendo anche in giusto conto la sinossi dell’artista, sono portato a osservare che la mostra inizia con un vetro spezzato, con inglobata un’immagine nitida di un autoritratto che esce da una penombra. La prima domanda potrebbe già essere: Il “Narciso” cui si allude e che ne viene fuori parla della stessa autrice o è un netto richiamo al visitatore che si accinge a visionare le opere esposte?
Le concettualizzazioni espresse in sinossi sono abbastanza evidenti nelle fotografie, stampate rigidamente in bianco e nero, che rappresentano attimi di frame congelati in dissolvenze incrociate che, nel fondere figure plasticamente compatibili, mettono a frutto le maturate esperienze cinematografiche dell’autrice. Lei sa certamente distinguere l'immagine in entrata rispetto a quella in uscita, ma è normale che le due direzioni potrebbero non coincidere con chi si pone a osservare le opere.
Appare anche una scelta la sottolineatura della Natura collegata principalmente al mondo femminile, che in qualche modo ricorda velatamente la "Pachamama". Figura semplice e radicata nella filosofia delle tribù andine. Simbolo vivente di una cultura che ha venerato la Terra come fonte di vita e protettrice di tutti gli esseri viventi.
Le diverse forme e formule adottate sviluppano tante grammatiche differenti e, in questo, le immagini perfettamente definite, non miscelate qui in sovraesposizioni, sono proposte attraverso l’uso di gelatine sapientemente apposte su basi d’origine rocciosa (calcarea, sedimentaria, etc…) per sviluppare un discorso altro.
Alcune di esse proposte come installazioni, con l’utilizzo di calze da donna, a mio parere, potrebbero costituire il ricorso a stratagemmi idonei a individuare esposizioni d’immagini consolidate; che potrebbero alludere a una galleria di ritratti, volta alla esaltazione della figura femminile e della sua bellezza estetica.
Immagini preservate, quindi, in una simbolica pinacoteca particolare, che si viene a intramezzare fra le fotografie dell’ideale fusione esistenziale tra due mondi intesi come paralleli (vegetale e umano).
Le altre formule artistiche adottate, forse lasciano presupporre la stabilità delle immagini nel ricordo di noi umani, mentre altre ancora avrebbero lo scopo di far contemplare, con l’invito a riflettere: le isolate rocce non protette da calze, che si intervallano anch’esse nella esposizione delle opere e fotografie di visi non meglio definite poste forse come intercalari di una punteggiatura interiore.
In conclusione, non credo che la sinossi scritta da Laila possa ritenersi esaustiva rispetto all’argomento, anzi vuole essere un punto di partenza.
Le singole opere e l’allestimento ben ideato, inducono a molteplici considerazioni, variabili per le esperienze di ognuno.
Sono, infatti, innumerevoli gli spunti e le domande che suscita l'attenta visione della mostra.


Buona luce a tutti!

© Essec

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