"Salsedine" di Stefania Genovese



Un aspetto mai secondario nelle mostre e nelle esposizioni d’arte in genere è certo costituito dal loro allestimento.
Sono in molti a sostenere che specialmente le fotografie non abbisognino sempre di didascalie e che, anzi, la necessità di dover spiegare all’osservatore le immagini potrebbe implicitamente evidenziare una carenza comunicativa delle stesse.
Tutti comunque si è concordi sul fatto che una immagine, fotografica, pittorica, grafica, etc… deve in qualche modo suscitare un’emozione o, quantomeno, intrigare al punto da sentire la necessità di saperne di più e andare oltre.
L’esposizione di Stefania Genovese inaugurata venerdì scorso all’Arvis di Palermo, efficacemente illustrata dallo scritto del valente critico Giuseppe Cicozzetti, è presentata dall’autrice con la seguente sinapsi:

“Salsedine è quel sottile stato biancastro lasciato dall’acqua salata. È quell’odore e sapore di sale che si appiccica addosso, che vuoi portare sulla pelle quando sei lontano dal mare. Papà rappresenta il mare con tutte le sue declinazioni. Solo quando è cullato dalle onde, quando è accarezzato dal vento si sente felice. Per anni ho amato e odiato il sapore del mare perché allontanava da “casa” ma il tempo è riuscito a curare le mie ferite e ad accorciare le distanze”.

A rappresentare queste parole, a mio parere, basta leggere il percorso di un filo che lega le tante tessere che compongono l’esposizione.
Giustamente Cicozzetti evidenzia che “le fotografie crescono con noi” e che “una volta alla vista ci raccontano storie”, specialmente se si stratta di foto familiari che riesumano dai ricordi testimonianze vive.
La centralità del padre presente nel racconto della Genovese fa apparire quel filo come la sintesi estrema e stenografica di un racconto psicanalitico (con tutti gli alti e bassi rappresentati).
La miscellanea tra fotografie d’album e realizzazioni più recenti dell’autrice coinvolge e stimola l’osservatore a un suo percorso intimo e personale, che sempre si cela e si nasconde dormiente sotto traccia in ognuno di noi.
In tutto questo, torno a sostenere che l’allestimento pensato, non so se per questa circostanza o comune ad altre precedenti esposizioni, a mio parere, costituisce l’asse concettuale portante dell'intera mostra.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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