La fotocamera … molto più di un apparecchio di registrazione. (di Giancarlo Torresani)



Occorre molta fortuna nel riuscire a coinvolgere, nel commentare una mostra fotografica, due autorevoli firme che, con autonomi interventi scritti, sono riusciti a impreziosire l'intento solo sperato dai due autori. Daniela Sidari con la sua presentazione a “Photographies” (sottotitolo “Viaggi ....”) ha fornito una descrizione che ha potuto poi verificare di persona (avendo visitato in questi giorni la mostra), Giancarlo Torresani viene oggi ad arricchire il quadro, con il testo appena pervenuto e che si riporta di seguito.

Per chi volesse visionare lo slide show della mostra combinata dei due viaggi il link è ..... Per chi volesse visitarla di persona, potrà scoprire l'allestimento un pò atipico immaginato dagli autori e che ha creato una certa interazione fra i due differenti generi fotografici in mostra.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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La fotocamera … molto più di un apparecchio di registrazione.

Uno dei tanti visitatori di “PHOTOGRAPHIES - Viaggi … di Gregorio Bertolini e Salvatore Clemente” si sarà chiesto: perché due fotografi (dalla diversa cifra) hanno deciso di allestire una mostra fotografica assieme? Una mostra, cosiddetta, dovrebbe rispecchiare le idee dell'autore … come possono allora due autori convivere (nella stessa galleria) con due idee diverse?
Premesso che arrivare a comporre una mostra fotografica (fare editing) non è un impegno facile, riuscire nell’impresa è una tappa importante che mette fine ad un “discorso” intrapreso (dagli autori) molto tempo prima, è un dono ai visitatori, oltre che un chiudere una porta fiduciosi di riuscire in futuro ad aprirne altre.
Quando pensiamo ad una mostra fotografica come l’esposizione di un “progetto” articolato e motivato (non un insieme di “belle” foto, ma un insieme che risponde a due domande: cosa hai fatto e perché lo hai fatto) non dimentichiamo che la fotografia è un linguaggio in grado di esprimere visivamente un punto di vista, il pensiero dell’autore; e che due linguaggi diversi possono confluire in un unico “progetto” dove la possibile evoluzione del tempo che scorre è fatto di accelerazioni, rallentamenti, pause, urla e silenzi, una melodia, un ritmo, un respiro che pulsa come il sangue che scorre nelle vene.
Se diverse potrebbero essere le risposte alle domande iniziali, ad esempio: per amicizia, per empatia, per un progetto condiviso, per una questione meramente economica … possiamo trovare la chiave di volta nella parola “viaggi” (vedi titolo della mostra).
Viaggi è un termine che può evocare (nella mente del curioso visitatore) una grande opera che ben riassume i vari significati concreti e simbolici: mi riferisco all’Odissea.
L’Odissea è un poema che, oltre all’avventuroso ritorno in patria del suo eroe Ulisse, rappresenta allo stesso tempo la volontà di portare a compimento una missione accompagnata dalla paura e dall’ansia di conoscere e tentare nuove imprese e nuovi episodi. Ulisse (come i due autori di questa mostra) rappresenta l’intelligenza e la curiosità, un personaggio assolutamente moderno e complesso.
Nel vedere (nell’osservare) PHOTOGRAPHIES, mostra già ben descritta nella presentazione di Daniela Sidari, quel “visitatore” non potrà non cogliere la presenza di un progetto ricco di significati metaforici e simbolici che si avvale di un linguaggio per immagini che arrivano direttamente, evocando sensazioni ed emozioni diverse nel lettore.
Il “viaggio intimo” di Gregorio Bertolini rappresenta il risultato di una ricerca decennale (work in progress) un lavoro composto tramite immagini dai vigorosi bianchi e neri (fermi, mossi e a volte solo suggeriti) che tracciano i contorni di una realtà ricca di emozioni legate ad un certo modo di sentire, al vissuto dell’autore, che si interroga sulla propria esistenza.
Noi pensiamo di scattare foto per catturare spicchi di realtà, ma non è così; la verità è che quando fotografiamo mettiamo a fuoco la nostra interiorità usando ciò che vediamo al nostro esterno.
Ciò che conta è il frammento di un’esperienza, parziale e permanente, che la fotografia può trovare, quell’unica verità che esiste solo nel punto in cui il senso del tempo del fotografo e la natura frammentaria del mondo si incontrano. Le foto concettuali di Bertolini esteriorizzano ed amplificano certe nostre emozioni; guardarle è come guardarsi dentro nel bene e nel male.
Farlo può strappare sensazioni, paure, fragilità nascoste e mai liberate.

Secondo John Berger il nostro modo di vedere è condizionato socialmente dal nostro habitus e dalle nostre esperienze. Il linguaggio fotografico è senza dubbio uno dei tanti aspetti della comunicazione contemporanea, non solo quando si viaggia, per passione o per lavoro, ma anche quando si fotografa ciò che non appartiene alla nostra cultura, per documentare, comparare, ricordare.
Ed è qui che troviamo lo sguardo di Salvatore (Toti) Clemente che, dai due viaggi in Cina (effettuati nel 1991 e nel 1995) recupera le sue vecchie dia-color (poi digitalizzate) per raccontarci la Cina di quegli anni. Un abile utilizzo (potremmo dire) del materiale fotografico per analizzare e studiare: altre culture, usi e costumi, tratti somatici di altri popoli, una vera e propria ricerca socio-antropologica.
Osservando questo caleidoscopico “album” di ricordi non possiamo non riconoscere che viaggiare, e fotografare, permette di incontrare e capire luoghi e mondi diversi, scoprire religioni diverse, cibi nuovi, modi di vestire e di parlare … altre culture nelle quali, nonostante le mille difficoltà, ci sono ancora persone pronte a regalarci un sorriso spontaneo.
Questa è la potenza del ritratto, che emerge predominante dall’indagine fotografica di Clemente; volti nei quali leggiamo le emozioni che il fotografo desiderava trasmetterci; non solo volti, non solo il colore della pelle e dei capelli, i lineamenti diversi … ma volti che rappresentano i “segni” del trascorrere del tempo. Ogni sguardo, ogni ruga, ogni espressione di quei visi racchiudono in sé i ricordi legati all’esperienza dei tanti incontri che il viaggio ha donato.
Una fotografia non può essere sempre perfetta, dal punto di vista tecnico, ma può trasmettere la sensibilità del suo autore. Sono le foto stesse che trasmettono il loro essere e lasciano immaginare quei luoghi e quelle persone. Le potenzialità espressive della fotografia sono davvero sorprendenti; se il fotografo riesce ad immortale in pochi centesimi di secondo ciò che vede e sente … sarà poi la percezione di chi guarda a dare un senso a quelle foto.
Scriveva Orson Welles : “la fotocamera è molto più di un apparecchio di registrazione, è un mezzo attraverso il quale i messaggi ci raggiungono da un altro mondo.”
Sperando d’aver risposto (e fugato gli ulteriori dubbi) a quel “curioso” visitatore, non mi resta che salutarlo e augurargli una “buona visione” di questa mostra.

(1) John Peter Berger (1926-2017) è stato un critico d’arte, scrittore e pittore britannico. (2) George Orson Welles (1915-1985) è stato un attore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e produttore cinematografico statunitense.

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