Quanta patologia traspare dal fotografare

Il panorama politico italiano attuale peggiora, quindi, avendolo già trovato come utile diversivo, torno a parlare - cazzeggiando in modo semiserio - di fotografia.
La scoperta della tecnica fotografica ha offerto nuove opportunità, specie a coloro che erano negati nelle realizzazioni di opere pittoriche o nel disegno figurativo più in generale.
L'avvento della fotografia, quindi, ha consentito a tutti quanti i creativi di potersi esprimere artisticamente, grazie all’utilizzo di uno strumento meccanico basato essenzialmente sul fissaggio della lettura della luce.
La complessità del banco ottico e l’onerosità nell’acquisto in origine, come noto, hanno fatto sì che la fotografia rimanesse un’attività esclusiva, riservata solo a pochi.
La fotografia, oltre a costituire un’opportunità commerciale per immortalare i soggetti, comunque è diventata fin da subito anche un mezzo per una più ampia documentazione del sociale e del territorio.
L’ampia produzione, specie in Nord America, ha generato nei primi del novecento ricchissime raccolte finalizzate a specifici scopi che, oltre a testimoniare l’evoluzione degli strumenti e delle tecniche di ripresa, hanno creato archivi di notevole importanza storica, anche per gli aspetti antropologici e geologici collegati alle genti e ai territori immortalati.
In verità l’invenzione della macchina fotografica sostanzialmente segue quelle che sono le logiche funzionali dell’occhio umano. Applicando dei principi tecnici studiati per fissare in modo similare ciò che noi riusciamo a vedere, attraverso la struttura neurologica e fisica fornitaci da madre natura.
Come tutti gli strumenti innovativi creati dall’uomo, in breve, se ne è omologato l’utilizzo e l’esponenziale evoluzione tecnologica, associata alle culture e alle creatività individuale, hanno reso oggi la macchina fotografica una vera e propria protesi, impiegata per realizzare anche idee artistiche immaginate da varie menti.
In quanto protesi, il marchingegno utilizzato rimane, quindi e sempre, un mero strumento e quanto viene prodotto dallo stesso resta sempre un qualcosa legato all'autore dello scatto.
Al di la delle premesse storiche, oggi sappiamo tutti bene che la fotografia non sempre documenta il vero; anzi, spesso è apertamente menzognera nell'andare a manipolare rappresentazioni di realtà apparenti.
Senza voler troppo addentrarsi sulla cultura vigente nel tempo o sulle influenze politiche che spesso condizionano (individuali o sociali ha poca importanza) autori e critici di fotografia, è ormai assodato che un’immagine, proposta come risultato fotografico, corrisponde almeno alla parte deliberatamente scelta e inclusa nel campo inquadrato, ancorché potenziale frutto di eventuali interventi postumi attuati in sede di post produzione.
Fin qui sostanzialmente è tutto risaputo e nulla di nuovo è stato detto.
Forse l’aspetto maggiormente evidente sarebbe quello che oggi la diffusione delle produzioni fotografiche corrisponde all'utilizzo sempre più frequente di cellulari come mezzo di ripresa.
Il telefonino potenziato, divenuto un mini computer con incorporata una macchina fotografica, oltre a consentire elaborazioni immediate, permette a tutti di essere annoverati fra i potenziali fotografi.
La facilità di accesso alla fotografia ha generato una sorta di democrazia; ma, come è per la letteratura o altre branche artistiche, anche se teoricamente quasi tutti dispongono della grammatica e sintassi necessarie, sono pochi coloro che - attraverso l'uso del mezzo - sapranno esprimersi in modo compiuto; così come pure quelli che, cercando di dire cose interessanti, riescono a farsi capire.
Un aspetto molto interessante e che merita sicuramente maggiori approfondimenti sarebbe quello legato all’aspetto psicologico che collega fotografia e autore.
Al riguardo, per chiudere, esordirei con una serie di domande.
La più ovvia e semplice, sarebbe: quanta cultura riveniente dallo studio della storia della fotografia condiziona i nostri scatti?
Cos’è l’etica per ciascun fotografo e quale è, se c’è, il limite che dovrebbe indurre talvolta a fermarsi e a non fotografare?
E poi, quante reminiscenze della nostra infanzia e adolescenza interferiscono e eventualmente filtrano le scene che andiamo a cogliere e veniamo a immortalare?
Quanti fattori e quali sono quelli che condizionano la nostra concezione del bello?
Infine, se guardiamo l'intera produzione artistica di un autore, quanta patologia mentale può esserci e, se nel caso, come è percepibile osservando le singole riprese fotografiche di ciascuno?
Qui si potrebbe aprire un nutrito dibattito, che porterebbe anche a mettere in luce tanti altri aspetti collegabili alle questioni, atteso che ogni forma d'arte è legata indissolubilmente alla mente di colui che ha prima immaginato l'opera e poi l'ha creata.
Tutte domande che rappresentano tanti sassolini buttati nello stagno della conoscenza ...... che generano nuove onde concentriche che s'incrociano e testimoniano dell'apporto dinamico del loro movimento.

Buona luce a tutti!

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