Martedì 26 maggio è stato il turno all'AFA di Enrico Genovesi

Una volta, sul finire degli anni ottanta, ebbi a realizzare una foto nelle campagne dei Nebrodi. In uno scenario avvolto dalla nebbia, una figura rossa indistinta sembrava essere cappuccetto rosso in giro per il bosco. Come spesso accade anche ai fotografi iniziati battezzai quella come una bella foto e, seguendo la goliardia del tempo, la presentai in un concorso, dove mi classificai al primo posto. Della giuria faceva parte anche un amico che, avvicinandomi durante la cerimonia di premiazione, mi fece intendere d’essere stato fautore del successo. Quella foto, in quel momento e il premio mi caddero dal cuore. In un incontro successivo, Melo Minnella, che aveva presieduto quella giuria, ricordandosi di quella foto mi fece i suoi complimenti, aggiungendo in più che m'invidiava quell’immagine che avrebbe tanto desiderato aver fatta lui. Successivamente, quella stessa fotografia mi fu richiesta per il SICOF di Milano, perché selezionata per essere esposta in quell’evento nientedimeno che da Lanfranco Colombo.
Tutto questo racconto serve a dire che millantare meriti o raccomandazioni non è mai una gran cosa, tantomeno un fatto positivo. Ancor peggio cercare di falsare i risultati per magari privilegiare qualcuno che conosci. L’accaduto è stato per me un grande insegnamento. Proprio per questo, se sono stato chiamato a giudicare, non mi attivo mai per conoscere in anteprima gli autori e qualora riconoscessi una fotografia di un amico, nel caso, non fa alcuna differenza.
Quanto fin qui esposto l’ho voluto rispolverare perché a parer mio in qualche modo si accosta a Enrico Genovesi. Ho colto infatti in lui l’onestà intellettuale che accompagna un vero professionista.
Incontrarlo in videoconferenza mi è sembrato quasi come accogliere uno della porta accanto. Pur giovane d'età, il suo bagaglio racchiude un arco di esperienza fotografica che abbraccia per intero il periodo del trapasso tecnologico che negli ultimi anni ha interessato la fotografia.
Nato fotograficamente nell'era dell'analogico, ha saputo mutare velocemente pelle, adattandosi con acume nell'attualità del mondo digitale. Nel fare ciò, ha comunque messo a frutto e mantenuto tutte le esperienze acquisite nell’era passata.
Modestia e umiltà sono state la costante nel lungo incontro che ci ha regalato, svoltosi nell’ambito degli incontri del martedì organizzati dall’Afa. Pur reduce fresco di un evento Fiaf importante, dove è stato uno dei dieci incaricati nelle lettura di più di un centinaio di portfoli, non ha mai lasciato trapelare alcuna enfasi sul ruolo assunto nel panorama fotografico nazionale.
Nell’incontro ha voluto anzi raccontare, con esempi tangibili, i lavori che hanno costituito il suo percorso formativo, senza mai omettere alcun dettaglio tecnico, ogni possibile autocritica o informazione di sorta riguardo alla galleria d’immagini proposte.
Una sintesi dei tanti progetti sviluppati ha accompagnato il suo brillante racconto, senza mai tralasciare i risvolti umani e intimi che hanno caratterizzato alcuni aspetti dei suoi lavori, le sensazioni provate e le specifiche regole d'ingaggio, laddove erano anche coinvolti personaggi.
Una linea ha sempre collegato tutte le sue fotografie, la ricerca di umanità nei tanti percorsi battuti per acquisire conoscenze e trarre esperienze da ogni "avventura" fotografica.
Delle serie viste, mai un lavoro ne duplicava un altro, tutt'al più taluni erano solo uniti da un'attività di completamento. 
I temi trattati durante l’incontro sono stati molteplici e in un crescendo, frutto di progettualità ma anche generati, come ha avuto più volte occasione di dire, da occasionali opportunità o incontri non programmati.
Come gli ho pure precisato in diretta, circa l’impressione che ne ho ricevuto come osservatore, l'entusiasmo dei racconti traspariva tutto. In alcuni momenti le sue descrizioni erano come il ripetere il click di uno scatto, come se stesse realizzando di nuovo quella stessa foto in quel momento.
Rammaricato di non disporre di una fede canonica, cattolica o altra poco importa, una religiosità laica accompagnava, come ha lui stesso anche detto, tutti i progetti presentati. Una chiave mistica era presente, infatti, non solo nella pulizia fotografica che contraddistingueva le immagini, ma anche nella pudicità e nell'etica che si leggeva nettamente in ogni singola foto.
Molto spesso fotografie, che costituivano poesie più che racconti, erano i pezzi complessi di puzzle abilmente composti.
Non si notavano nei suoi lavori scatti che erano stati frutto di scoop forzati, perchè l'intento che ha costantemente inteso perseguire è sempre stato un altro. 
Il reportage e i suoi derivati hanno sempre costituito il faro nel suo percorso. A ciò si ricollega anche la ricerca empatica, che normalmente dice di raggiungere interagendo col contesto e che coinvolge nelle sue rappresentazioni.
La raccolta dedicata al carcere maschile della Gorgona e l’analogo progetto sulle carceri femminili, oppure l’operazione che racconta il tragitto e le esperienze della partorienti, sono un'emblematica testimonianza della sua ricca e variegata produzione.
Di moltissimi suoi lavori - e anche questi prima accennati - sono state realizzate delle pubblicazioni che hanno riscosso molto successo, costituendo anche documenti non finalizzati solamente al mondo della fotografia.
Per chiudere, ricollegandomi alla mia ampia premessa anedottica. Sono sempre convinto che scrivere di qualcosa o di qualcuno deve avere un significato propositivo. Deve esserci, per raccontare, un solo intento: quello di trovare argomenti, allo scopo di aggiungere qualcosa che risulti implementativo. Scrivere per raccontare il superfluo, come accade talvolta anche nello scattare fotografie, serve a ben poco. 
Nel caso, per quanto mi riguarda, meglio tacere.
Buona luce a tutti!
© Essec

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