Atlante Umano Siciliano di Francesco Faraci

Attraverso la videoconferenza organizzata dall’Associazione Culturale 36° Fotogramma ho avuto l’opportunità di scoprire Francesco Faraci, che ha accompagnato la presentazione del suo ultimo portfolio fotografico con blocchi d’immagini e che io vedevo per la prima volta.
Scopo dell’incontro era anche quello di presentare il suo ultimo lavoro fotografico “Atlante umano siciliano” edito dalla casa editrice di arte e fotografia Emuse.
Il trentasettenne Francesco Faraci ha iniziato il suo intervento con fotografie scattate in questo periodo nella sua città di Palermo desertificata.
A me che frequento da tempo gli stessi posti, anche per la passione per la fotografia che ci accomuna, gli scatti hanno trasmesso forse pienamente ciò che l’autore voleva esprimere: solitudine, smarrimento, la sottintesa speranza di risvegliarsi presto da quell’oblio indotto.
Benedetta Donato, che coordinava l'intervista, ha brillantemente incalzato Faraci, riconducendolo spesso seguire a il percorso disegnato. Francesco che, con i suoi commenti mostrava l’entusiasmo genuino del suo fare fotografia, debordava, infatti, spesso e volentieri in argomenti sempre più vasti.
Via via che Faraci proiettava i blocchi concordati, per la visione in streaming delle opere selezionate, si palesava immediatamente un crescendo d’interessanti immagini, apparentemente semplici ma in realtà alquanto complesse, perchè ricche di una moltitudine di messaggi. Per me è stato un piacevole vedere, forse anche per il fatto che l’occhio di un indigeno è diverso da quello di chi non conosce i contesti sociali rappresentati nelle foto.
Per non farla lunga, a mio giudizio, le fotografie scattate nel quartiere catanese di San Berillo, che richiamavano i vari Pasolini, Fellini e tanti altri artisti e intellettuali similari, senza alcun dubbio sono state notevoli.
Con le foto riferite a “Atlante Unamo Siciliano” si vedeva pure un certo ritorno alle origini, alle sue prime produzioni, al modo di fotografare caratterizzato dall’intuizione, dall’istintività, dalla trasposizione in pixel delle sue visioni.
Nel corso dello streaming Francesco Faraci, rispondendo a delle esplicite domande, ha affermato di non aver conosciuto prima d’iniziare a fotografare i mostri sacri della fotografia e il suo percorso di fotografo del resto lo testimonia. Al riguardo ha raccontato di essersi “acculturato fotograficamente” solo successivamente, quando cioè ha avuto la necessità di allargare le conoscenze in materia e di estendere sempre più i suoi orizzonti.
Nell’ultimo lavoro ciò si palesa e altri critici presenti alla videoconferenza hanno fatto notare la contaminazione verosimilmente inconsciamente intervenuta.
Per completezza di argomento devo anche dire che il lavoro pure presentato e riferito all’evento musicale, quello connesso all’esperienza avuta con Giovanotti, non l’ho trovato all’altezza degli altri. Mi è apparso, tranne qualche felice intuizione con qualche immagine forse frutto di “mestiere”, una produzione non spontanea, forzata e non consona al linguaggio creativo che è intrinseco alla sua produzione fotografica più verace.
Per come la vedo io, Faraci è fondamentalmente efficace quando opera seguendo ciecamente “l’animale fotografico” che c’è in lui. Deve, cioè, a mio parere, solo seguire quell’istinto innato di voler catturare quello che la sua mente coglie, senza filtro alcuno, rispondendo soltanto al piacere di voler raccontare delle sensazioni ricche e complesse che prova in quel momento e i suoi occhi leggono. Del resto le immagini più belle evidenziano come nei suoi scatti non vi sono compromessi o particolari richieste verso i soggetti ritratti, volte a mutare la scena che gli si presenta davanti.
Lo immagino in azione, il suo ruotare intorno all’ambiente in cui sta operando, magari salendo e scendendo da diversi punti d'osservazione, per catturare quello che più lo impressiona e che con un click riesce a traslare sul sensore della sua macchina fotografica o sulla pellicola analogica che forse ancora in qualche caso usa.

Buona luce a tutti!
© Essec

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