Barocco netino, glamour e sul perché non ho più partecipato a un workshop da allora.

Esperienza di workshop, che poi è rimasta unica, è stata per me quella fatta a Noto nel lontanissimo inizio degli anni ottanta.
L’evento venne organizzato da una associazione netina (Associazione Siciliana Arti Fotografiche) e tra i tanti partecipanti eravamo in molti gli iscritti alle sezioni regionali ANAF (associazione fotografica, “costola” di soliti scontenti in fuga dalla FIAF).
Le tematiche che venivano trattate nel WS erano il glamour e la fotografia ambientata nel contesto urbano. Come teatro degli scatti furono scelti Noto, scenari incantevoli della Riserva naturale di Vendicari e pantani di Pachino.
A raccordare un gruppo di oltre una dozzina di fotoamatori locali vi erano due notissimi maestri che a quel tempo andavano per la maggiore: Roberto Rocchi e Danilo Cedrone.
I lavori, articolati nell’arco della settimana, furono di altissima qualità didattica e del resto non poteva essere altrimenti, stante il livello dei docenti scelti.
Dopo brevi introduzioni teoriche, a turno venivamo tutti chiamati a mettere in atto gli insegnamenti ricevuti, ma io, da subito, ebbi a mostrare la mia indolenza nel seguire pedissequamente i programmi dei maestri.
Per quanto intuibile, dopo poco tempo fui lasciato al mio destino; anche se, per tutta onestà, devo anche dire che non mi fu mai preclusa la possibilità di seguire attivamente i due corsi e, nel caso di sperimentare direttamente quegli aspetti problematici di ripresa che al tempo ignoravo (riguardanti: tempi di esposizione in manuale, profondità di campo e scelta ottimale degli obiettivi).
A distanza, nonostante siano trascorsi tanti anni confesso che è stata una esperienza unica, di grande arricchimento e della quale conservo vivo un gran bel ricordo.
Nella settimana di lavori ebbi a divertirmi molto, sbizzarrendomi in scatti eccentrici e fuori dagli schemi rigidi suggeriti dai docenti, sperimentando tutte le idee bizzarre derivanti dall’irrazionalità del mio giovane spirito libero.
Già allora, nonostante i limiti costituiti dal numero di scatti imposti dal rullino analogico, mi divertii anche a fare scatti ai fotografi in azione e ai maestri in particolare.
Confesso che non ho la più pallida idea di dove possano essere oggi riposte quelle diapositive; ma questa è un’altra storia che attiene al mio eterno disordine d’archivio.
Nella circostanza ai maestri si accompagnarono due brave e bellissime modelle, una brasiliana di nome Adriana e un’altra olandese della quale non ricordo più il nome, che venivano addobbate, a secondo della tematica, con utilizzo di capi di moda particolari o soluzioni utili a creare scene sensuali, attendibili per delle scene di glamour.
Oggi, mettendomi alla ricerca su internet, scopro che i due sono dei conclamati maestri, oggetto di studio e di ammirazione.
Volevo ora raccontare del perché non ebbi a ripetere in seguito esperienze analoghe.
Di regola, dopo aver ultimato la giornata fotografica, consegnavamo in albergo i rullini per il loro sviluppo e l’indomani provvedevamo a selezionare fra le diapositive ritirate le migliori, ovviamente secondo i gusti di ciascuno.
I telaietti consegnati all’organizzazione venivano personalizzati con scritte utili a individuare l’autore, per poter poi procedere facilmente alla restituzione, alla fine dell’evento.
L’operazione di raccolta era sostanzialmente funzionale alla scelta delle migliori immagini da selezionare per l’approntamento del diaporama riassuntivo dell’intero programma che, durante serata finale, sarebbe stato proiettato a teatro.
Per farla breve, con l’avere operato in maniera disomogenea agli altri, avevo conferito produzioni particolari e differenti, non ultimo per inquadrature e tagli.
Il diaporama finale che venne proiettato, nonostante io costituissi una bassa percentuale fra i componenti del gruppo, ebbe a contenere un elevato numero delle mie foto.
La restituzione che avvenne dopo qualche tempo, non risultò però completa e – anche considerate le diapositive scelte e consegnate ai due maestri per una successiva pubblicazione nel mensile fotografico di riferimento – non ebbi più notizie di moltissime mie foto.
Quelle scelte per la stampa effettivamente furono poi pubblicate (una a piena pagina) nel mensile indicato, forse anche con il mio nome, ma pure queste andarono ad associarsi alle disperse (a quel tempo con c’erano nomi di files o formati nef o raw che garantissero tutela).
Ci rimasi male parecchio e mi convinsi poi che conferire immagini in queste circostanze costituisce un rischio che non vale la pena correre, anche perché, chi mastica di fotografia sa bene che è molto difficile riuscire a realizzare uno scatto di livello, specie in quei momenti e soprattutto se ben ambientato nei luoghi.
Qualcuno ebbe a dirmi che in occasione di questi eventi, l’appropriazione di immagini scattate dagli allievi per taluni (maestri o organizzatori che fossero) era una prassi diffusa.
Sono passati quarant’anni quasi ma me lo ricordo ancora; mi domandavo allora e continuo a interrogarmi ancor adesso sull’etica di chi ruba le foto e le spaccia per proprie. Non ho trovato ancora adesso una risposta adeguata, dico semplicemente: boh?
Buona luce a tutti!
© Essec
 
 

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