Informatica, teatro, fotografia: domini incontrastabili della punteggiatura



Il contributo allegato prende origine da un mio commento ad un articolo di Marco Calamari, pubblicato sul sito Economia & Finanza Verde; di estrema attualità e attinente, in particolare, al bug informatico generato l’altra notte, da assenza di un segno di punteggiatura nel codice, che ha paralizzato sistemi e piattaforme web di mezzo mondo.
A margine dell’articolo avevo annotato le seguenti brevi considerazioni: “Quindi, tutto sommato risulta attendibile l’importanza della punteggiatura nel dare senso a una frase…anche informatica”.
“Non ho nessuno scopo e sono felice” è la battuta del duo Ficarra e Picone che, nel film “La Stranezza”, cercano d’insegnare all’attore amatoriale durante le prove di una piece teatrale. Quello, intercalando una virgola dopo “non ho nessuno” … andava a stravolgere completamente il reale senso della frase del copione”. Provare per credere. Gli effetti sono esilaranti.
Per il felice accostamento del commento all’articolo di Calamari, venivo spronato a scrivere un articolo sulla punteggiatura in fotografia, di cui mi diletto.
L’intrigante proposta mi piaceva pure, ma ho provato a trovare una soluzione, coinvolgendo nell’operazione l’amico Pippo Pappalardo, maestro di critica fotografica e non solo, che ha fortunatamente raccolto l’invito.
A stretto giro di posta ho quindi ricevuto l’interessante articolo che ripropongo di seguito; che tratta della punteggiatura nell’arte fotografica e non soltanto.
Un vero cadeau che illumina, con la giusta enfasi e focalizzando in particolare l’ambito fotografico, discernendo tanti peculiari aspetti.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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Qualche considerazione …sulla punteggiatura

Da sempre abbiamo considerato la fotografia come uno strumento di comunicazione statica. La sua evoluzione, nel tempo, ci ha permesso, però, di rivedere questa valutazione specialmente alla luce della sua diffusione, condivisione, modalità di proposizione.
Il carattere strumentale posseduto da ogni immagine fotografica (ovvero documentare, narrare, esprimere, rappresentare, etc…) ha inevitabilmente contribuito alla focalizzazione di sentimenti, emozioni, sensazioni da parte di chi fruisce dell’immagine; ed, in effetti, noi rispondiamo agli elementi costitutivi dell’immagine fotografica, e, quindi, al colore, al dinamismo compositivo, allo schema grafico, all’energia del “cosa”, e, perché no?, Al ricordo, alla nostalgia, con modalità che possono (ripeto, “possono”) essere ricollegabili alla funzione grammaticale – sintattica della cd. “grammatica dei segni di punteggiatura”.
Torniamo, allora, per un attimo, sui banchi di scuola. Qui, ci si insegnava che il punto chiudeva il periodo dell’esposizione logica e ci rimandava ad altro o alla sua conclusione definitiva. Al “punto” occorreva accordare una pausa di riflessione, o di lettura, che aveva però modalità espressive differenti dalla virgola, considerata segno di pausa necessario ma di tono minore, da non confondere con tutti gli elementi di costruzione della scrittura (parentesi, trattini, grafismi di vario genere, prestiti da altre alfabeti) di cui ci avvaliamo (spero il meno possibile) per rendere più attraente la lettura del ns. testo (e mai l’esposizione).
Torniamo alla fotografia, testo visivo per eccellenza che, allorquando rimanda ad echi sonori, olfattivi, tattili, lo fa per evidenti ragioni di analogia di carattere indicale, di “mimesis”. Il carattere statico della sua immagine non presuppone la necessità svolta dalle funzioni dei segni di punteggiatura. Solo quando la fotografia si struttura in “sequenza”, forse, allora, abbiamo bisogno dei segni succitati (ma sappiamo, in tal caso, che la ripartizione e la sequenzialità organizzata dall’autore dovrebbe bastare). Ed in effetti, con l’eccezione del pannello multimmagine e del collage (non so immaginarne altri) la necessità o l’uso dei segni di interpunzione letterale sta solo nella testa di chi cerca complicazioni inutili.
Altra strada potrebbero suggerirci i segni di interpunzione espressiva (punti esclamativi, interrogativi). Invero, la grammatica della narrazione cinematografica e televisiva fa da sempre uso di questi strumenti in senso volutamente espressivo ed emotivo. Pensate all’accostamento filmico col l’esperienza sonora che diviene l’equivalente di un esclamativo, oppure di una dissolvenza, della sovrapposizione di fotogramma, di un cambio di ripresa, che pone tanti interrogativi dell’uno e dell’altro genere (Hitchcock, Kubrik etc.). L’uso di questi strumenti (sempre, ovviamente e regolarmente annotati “a posteriori”) è spesso solo suggerito e quasi mai non espresso chiaramente; semmai è lasciato alla suggestione del lettore.
Quindi, se il segno visivo e quello letterario hanno evidenti elementi di connessione, tali unità, a mio avviso, non consentono di poter accostare gli elementi costitutivi di ogni singola grammatica se non nella misura di qualche strumentale necessità.
Peraltro, tanti grandi ed illustri poeti hanno proposto l’eliminazione del punto esclamativo e di lasciarlo solo agli attori, ai giornalisti, e ai politici (e, aggiungo, sempre con diffidenza). Altri (il premio Nobel Claude Simon) hanno provato a comporre romanzi senza ricorrere alle virgole ed altri hanno eliminato i punti per scoprire dei testi diversi, inconsci,non concepiti dell’autore medesimo).
Per concludere: se avete provato a cantare una buona canzone sapete cosa voglio dire; non sul testo trovate questi benedetti segni, ma sullo spartito e, ancor più, nella libera interpretazione dell’opera artistica.
A creare confusione (dal mio punto di vista) nelle vs domande è arrivata, purtroppo, la vicenda “portfolio” che, nata secondo le migliori intenzioni (Crocenzi, Vittorini, Monti, Giacomelli, Torresani, Bicocchi, almeno in Italia), sta divenendo una cloaca inarrestabile di gente che è rimasta “infans”, senza parole e, conseguentemente, senza immagini.
Allontaniamoci da questa esperienza e crediamo ai ns. occhi.
F.to Pippo Pappalardo

N.B.: Scusate la mia non padronanza dell’uso corretto della punteggiatura.”

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