Una serie infinita di Urli di Munch
In quarta di copertina di “Fotogazzeggiando” riportavo quanto pure scritto in premessa, ovvero che “Capita talvolta di sentire il bisogno di scrivere. Ma non tanto per impegnarsi a svolgere un particolare compito ‘intellettualoide’, bensì per rispondere a un’esigenza propria di voler raccontare o semplicemente per rispondere così alla necessità di riordinare idee su certi argomenti …. nella fotografia, che è anch’esso un fenomeno sociale sempre più praticato, oggi di moda e su cui emergono nugoli di ‘esperti’, accade la stessa cosa.”
Quindi, la scrittura in genere, come noto, spesso costituisce una necessità. Quasi una forma terapeutica, un modo di comunicare che assicura equilibrio, seppur attraverso un dialogo sostanzialmente univoco.
Durante il parto letterario, infatti, non occorre che ci siano dei soggetti disposti a leggere ciò che si sta scrivendo, l’importante è coltivare l’illusione che esista il lettore idealizzato con cui ci s’intende rapportare. Chi scrive è certo un autore, ma al contempo, con il suo messaggio, immagina già il destinatario cui si rivolge. Ed è questo il motivo per cui si arzigogola nella ricerca di parole, immaginandosi contemporaneamente anche attento e severo lettore nei momenti stessi in cui va scrivendo.
La scrittura, quindi, determina in ogni autore un travaglio intellettuale assai complesso.
In un brillante articolo di questi giorni Elena Tempestini riprende un capitolo del saggio di Carlo M Cipolla che in maniera molto ironica argomenta su “Leggi della stupidità umana”, come strumento di sintesi utile a classificare ogni rappresentante della società e, a tale scopo, torna a proporre il seguente schema ideato dal Cipolla.
In relazione alle caratteristiche, quindi, ciascuno potrà trovare/immaginare a piacimento il quadrante corrispondente alle combinazioni (potenzialità/caratteristiche da associare ai fatti/risultati) più consone a ogni individuo, per stabilire in quale dei quattro profili potrebbe collocarsi.
Certamente più che basarsi su delle regole scientifiche, l’operazione sostanzialmente rappresenta un diverissement realistico, quasi ironico, per far divertire, ma fino a un certo punto in relazione ai giudizi finali cui fa propendere. Tale procedura potrebbe tranquillamente applicarsi anche a quel che succede nell'ambito della fotografia.
In ogni caso, lo schema ideato torna utile per cercare di razionalizzare scelte, a prescindere da influssi o condizionamenti esterni. Del resto, è anche una regola risaputa l’incidenza imponderabile del caso in ogni possibile accadimento.
Come osservato, lo stesso procedimento potrebbe essere applicato, oltre che nel campo lavorativo o nella politica o qualunque attività letteraria esercitata dall’individuo o altro ancora, anche nel campo fotografico e in tutti i suoi derivati. Tenendo conto che da sempre cultura e forme di comunicazione si evolvono in funzione delle opportunità delle tecnologie disponibili; così come civiltà spesso assai diverse, succedutesi nel tempo, hanno intanto avvicinato progressivamente - e via via - sempre più i confini, facilitando contaminazioni e scambi.
Ci sono modi differenti di approcciare la fotografia e, come in letteratura dove le parole sono strumenti funzionali per poter raccontare, descrivere, analizzare, formulare, teorizzare, anche le fotografie possono essere utilizzate con metodi applicativi diversi in relazione agli scopi.
Al riguardo, può ritenersi assodato il fatto che in ciascun individuo possa risiedere latente un “Urlo di Munch”, che in qualche modo vorrebbe mettere in campo proprie patologie recondite e, in questo, la fotografia può spesso costituire lo strumentario giusto. Ovvero, la tela e i colori necessari per esternare visioni intime, impressioni, tare, fantasmi, desideri, aspirazioni, attese; con la stessa efficacia ben rappresentata dal pittore norvegese.
Per un attimo, quindi, chiudendo magari gli occhi, potremmo facilmente immaginare come molte delle produzioni fotografiche proposte potrebbero rappresentare una serie infinita di urli di Munch. Il portfolio fotografico, in particolare, sublima spesso questa che potrebbe non rimanere solo una impressione.
Aprendo gli occhi si tratterebbe, quindi, di rimuovere l'eventuale nebbia, per osservare con attenzione e procedere all’analisi, per poi decriptare i messaggi che si celano dietro l’urlo di ciascuno.
Se si riflette bene, però, non sempre l’arte, in qualunque sua forma, si propone per ambire al successo; molte volte vuol solo costituire uno sfiatatoio esistenziale, utile a ridurre pressione o depressione, per rimuovere frustrazioni e alimentare agognate gioie (utile leggere al riguardo: "Come liberarsi del bisogno di approvazione"). Nel caso, ciascuno sarà opportunamente libero di scegliersi il percorso terapeutico che riterrà più idoneo, utile o migliore.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Quindi, la scrittura in genere, come noto, spesso costituisce una necessità. Quasi una forma terapeutica, un modo di comunicare che assicura equilibrio, seppur attraverso un dialogo sostanzialmente univoco.
Durante il parto letterario, infatti, non occorre che ci siano dei soggetti disposti a leggere ciò che si sta scrivendo, l’importante è coltivare l’illusione che esista il lettore idealizzato con cui ci s’intende rapportare. Chi scrive è certo un autore, ma al contempo, con il suo messaggio, immagina già il destinatario cui si rivolge. Ed è questo il motivo per cui si arzigogola nella ricerca di parole, immaginandosi contemporaneamente anche attento e severo lettore nei momenti stessi in cui va scrivendo.
La scrittura, quindi, determina in ogni autore un travaglio intellettuale assai complesso.
In un brillante articolo di questi giorni Elena Tempestini riprende un capitolo del saggio di Carlo M Cipolla che in maniera molto ironica argomenta su “Leggi della stupidità umana”, come strumento di sintesi utile a classificare ogni rappresentante della società e, a tale scopo, torna a proporre il seguente schema ideato dal Cipolla.
In relazione alle caratteristiche, quindi, ciascuno potrà trovare/immaginare a piacimento il quadrante corrispondente alle combinazioni (potenzialità/caratteristiche da associare ai fatti/risultati) più consone a ogni individuo, per stabilire in quale dei quattro profili potrebbe collocarsi.
Certamente più che basarsi su delle regole scientifiche, l’operazione sostanzialmente rappresenta un diverissement realistico, quasi ironico, per far divertire, ma fino a un certo punto in relazione ai giudizi finali cui fa propendere. Tale procedura potrebbe tranquillamente applicarsi anche a quel che succede nell'ambito della fotografia.
In ogni caso, lo schema ideato torna utile per cercare di razionalizzare scelte, a prescindere da influssi o condizionamenti esterni. Del resto, è anche una regola risaputa l’incidenza imponderabile del caso in ogni possibile accadimento.
Come osservato, lo stesso procedimento potrebbe essere applicato, oltre che nel campo lavorativo o nella politica o qualunque attività letteraria esercitata dall’individuo o altro ancora, anche nel campo fotografico e in tutti i suoi derivati. Tenendo conto che da sempre cultura e forme di comunicazione si evolvono in funzione delle opportunità delle tecnologie disponibili; così come civiltà spesso assai diverse, succedutesi nel tempo, hanno intanto avvicinato progressivamente - e via via - sempre più i confini, facilitando contaminazioni e scambi.
Ci sono modi differenti di approcciare la fotografia e, come in letteratura dove le parole sono strumenti funzionali per poter raccontare, descrivere, analizzare, formulare, teorizzare, anche le fotografie possono essere utilizzate con metodi applicativi diversi in relazione agli scopi.
Al riguardo, può ritenersi assodato il fatto che in ciascun individuo possa risiedere latente un “Urlo di Munch”, che in qualche modo vorrebbe mettere in campo proprie patologie recondite e, in questo, la fotografia può spesso costituire lo strumentario giusto. Ovvero, la tela e i colori necessari per esternare visioni intime, impressioni, tare, fantasmi, desideri, aspirazioni, attese; con la stessa efficacia ben rappresentata dal pittore norvegese.
Per un attimo, quindi, chiudendo magari gli occhi, potremmo facilmente immaginare come molte delle produzioni fotografiche proposte potrebbero rappresentare una serie infinita di urli di Munch. Il portfolio fotografico, in particolare, sublima spesso questa che potrebbe non rimanere solo una impressione.
Aprendo gli occhi si tratterebbe, quindi, di rimuovere l'eventuale nebbia, per osservare con attenzione e procedere all’analisi, per poi decriptare i messaggi che si celano dietro l’urlo di ciascuno.
Se si riflette bene, però, non sempre l’arte, in qualunque sua forma, si propone per ambire al successo; molte volte vuol solo costituire uno sfiatatoio esistenziale, utile a ridurre pressione o depressione, per rimuovere frustrazioni e alimentare agognate gioie (utile leggere al riguardo: "Come liberarsi del bisogno di approvazione"). Nel caso, ciascuno sarà opportunamente libero di scegliersi il percorso terapeutico che riterrà più idoneo, utile o migliore.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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