Anche Enrico Scaglia fin da piccolo aveva in mente di fare il fotografo



Mercoledì scorso al Circolo Fotografico Fincantieri-Wärtsilä di Trieste era in programma un incontro con Enrico Scaglia (fotografo che vive e opera a Trieste da cinque anni e titolare dell'omonima Accademia), intitolato «Una questione di testa: una vita passata a fotografare senza macchina fotografica». All’evento pubblico era possibile accedere anche attraverso collegamento in streaming.

Più volte, durante l’incontro è stato fatto cenno a Francesco Cito e non a caso, anche per il semplice fatto che pure Scaglia nasce fotografo per intenzione determinata fin dalla tenera età. Si rimanda, al riguardo, alla prima puntata di “Photo Chi Scatta” dedicata a Cito che “impara a fotografare scoprendo i grandi fotografi”.

Nel piacevole pomeriggio in cui ha intrattenuto i soci, Il primo concetto posto in risalto come incipit è stato quello di indicare i quattro momenti (intitolati: penso, cerco, vedo, scatto) che costituiscono la base per costruire una fotografia conscia e ordinata.

Il talento poi, che con dosi differenti è presente in ognuno, abbinato alla pratica consente di comprimere i tempi di elaborazione, velocizzando l’attuazione delle singole fasi.
Per meglio esemplificare quest’aspetto ovvero che, l’esercizio permette poi al fotografo di accelerare l’elaborazione attuativa dei quattro aspetti, Scaglia ha portato come paragone calzante ciò che è attinente alla pratica nella guida di un’auto, che viene quasi ad automatizzarsi nel tempo.
Tutti i principianti incontrano, infatti, delle difficoltà nel coordinare le tante azioni (durante l’apprendimento di scuola guida si avranno problemi nel pensare contemporaneamente ad abbassare la frizione, azionare la leva di cambio, stare attenti alla strada, verificare gli specchietti retrovisivi, stare attenti al semaforo e alla segnaletica in genere, essere pronti ad azionare i freni, etc.). È poi la prolungata pratica, come sappiamo tutti, quella che porta ad automatismi quasi inconsci, determinando una assuefazione alla contemporanea gestione del composito insieme combinato.
Un altro esempio è anche stato quello che paragona l’apprendimento dei principi della fotografia alla primordialità della natura umana, con il gattonare e fare i primi passi nel camminare eretti; fasi che rappresentano esperienze indispensabili e necessarie per assicurarsi certezze in quella deambulazione futura dell’età adulta.

Tornando all’attività più strettamente fotografica, prima di procedere per realizzare un’immagine alla base occorre maturare l’idea di ciò che si intende fare. Ne deriva che la fotografia da realizzare deve essere, pertanto, prima pensata ed è dopo aver sviluppato un pensiero che si si viene a mettere in funzione quel “serbatoio personale” (che assomma tecnica, cultura, sentimenti, anima, cuore, pancia) corrispondente alle specifiche peculiarità di ciascuno.

Poiché la foto costituisce un mezzo con il quale raccontarsi o raccontare, anche l’ambientazione è elemento importante per far prevalere la base del pensiero che sta all’origine.
Il linguaggio utilizzato (grammatica e sintassi) è la chiave per inviare consciamente un messaggio, con l’intento di creare e stabilire un parallelismo in un contesto culturale tra chi crea l’immagine, chi l’ha commissionata o con chi è comunque chiamato a leggerla.
Eventuali carenze d’informazione generano l’ignoranza (che può caratterizzare anche una delle singole parti in causa), che però può pure aleggiare anche nei casi di eccessi (d’informazioni per l’appunto) che rischiano di confondere nell’assicurarsi certezze, impedendo sostanzialmente di padroneggiare a pieno tutte le potenziali opzioni disponibili, che rischiano di rimanere solo in teoria accessibili.

Altra affermazione portata avanti da Scaglia, anch’essa importante, è stata quella secondo la quale solo durante la ripresa si vede la foto. La giusta lettura in fase di scatto fa sì che, al fotografo, non occorrerà poi apportare modifiche sostanziali nella successiva fase di post-produzione.

Lo stato d’animo di chi fotografa è anch'esso un elemento fondamentale, così pure l’empatia che il fotografo è chiamato a mettere preventivamente in campo. In funzione di quest’ultimo aspetto è stato posto l’accento sull’utilità di focali diverse nell'uso degli obiettivi; raffigurando l’esempio di come talvolta può tornare anche conveniente ricorrere a un grandangolare - per avvicinarsi al soggetto/scena – per poi utilizzare un teleobiettivo, allo scopo di agire in un “campo già sminato” da eventuali imbarazzi o diffidenze preesistenti da subito notate.

Del tutto non trascurabile e, in caso, occorre porre molta attenzione all’effetto attinente ai neuroni specchio, che il fotografo potrà neutralizzare anche con l’esperienza e la piena conoscenza delle tecniche specifiche dell’hardware di cui dispone.
Lo stesso dicasi, riguardo alle conoscenze e alla cultura fotografica generale, qualora si venga chiamati ad esprimere un giudizio critico su una fotografia - o un insieme di esse – nei casi occasionalmente richiesti.

Scaglia ha anche sostenuto che la fotografia analogica dovrebbe essere posta alla base di ogni didattica, anche per la lunghezza dei tempi di cui la stessa necessita.
Stabilita la sensibilità della pellicola che si intende usare, la formula costante è sempre d x t = E (dove D sta per il diaframma, t corrisponde al tempo, “E” costituisce un risultato costante determinato e indispensabile che deve corrispondere alla quantità di luce necessaria per catturare l’immagine che si intende realizzare).
Peraltro, l’agire e il pensare in analogico favoriscono anche la memoria storica, sia per il lasso dei tempi necessari alle diverse azioni ed elaborazioni mentali che precedono ogni scatto, che per il minore numero di fotogrammi consentiti da una pellicola/rullino.

Per concludere, in questo breve incontro non poteva non essere posto l’accento anche sull’editing fotografico, dove, anche qui, il “serbatoio” personale è chiamato a esercitare un ruolo di sintesi importante (il famoso “serbatoio personale” che si ha in dotazione e che è stato curato nel tempo).
Al riguardo è stato nuovamente tirato in ballo Francesco Cito con la sua tesi della fotografia “ruffiana”, pensata per compiacere sé stessi e assecondare le attese del destinatario finale. Ma questo è un altro aspetto che merita una più ampia argomentazione.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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P.S. Nel suo canale You Tube (Photo chi scatta) Enrico Scaglia, si definisce “un fotografo che ama la fotografia e che vuole condividere e trasferire le proprie esperienze” e chiude dicendo che “se vuoi imparare a fotografare prima devi imparare a guardarti intorno ed a capire come la fotografia si è evoluta.”
Per chi volesse ulteriormente approfondire su Francesco Cito, si rimanda alla sua Lectio svolta a TrapanInPhoto del novembre 2022, con la partecipazione del critico fotografico Maurizio Garofalo.

Commenti

  1. Bellissimo articolo caro Toti, complimenti. Guardarsi attorno per fotografare è sempre importante senza trascurare il fattore "C" ciao e buona serata, Angelo.

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