Fabio Sgroi, il fotografo dell’attimo fuggente

Assistendo all’intervento di Fabio Sgroi (https://www.fabiosgroiphoto.com/about/), nel corso dell'evento pomeridiano, ho pensato di trovarmi di fronte a un discepolo del professor John Keating (interpretato dall'indimenticabile Robbie Williams) che, nello splendido film "L'attimo fuggente", invitava i suoi allievi a salire sul proprio banco allo scopo di potere avere una visuale più ampia rispetto a quella limitata offerta dallo stare seduto. In presenza, quindi, di un attento allievo che, nel suo lungo percorso professionale, era riuscito a ben apprendere e a cogliere l'essenza nel saper catturare i momenti nell’esercizio della fotografia.
Dopo aver sentito parlare su di lui, era arrivata l’occasione di conoscerlo personalmente nel corso dell’incontro organizzato dall’associazione Arvis di Palermo.
In realtà, mi aspettavo di trovare un certo personaggio ma, il disincanto e la schiettezza nel suo modo di raccontare i tanti aneddoti e i vari approcci con la fotografia, mi facevano scoprire un soggetto che nella sua arte corrispondeva perfettamente al famoso Flaneur parigino descritto in tanta letteratura e tanto caro al mio amico catanese Pippo.
Specie per quanto narrato sui suoi primi approcci e per come si era inventato fotografo; un po’ per una innata curiosità di voler sempre sperimentare e, soprattutto, per rispondere all’esigenza di voler raccontare quello che era il suo sentire e che il suo occhio vedeva, pur ritrovandosi a spaziare in anche un campo di azione assai diverso da quello parigino.
Gli anni ottanta sono stati un periodo di fermento in tutto l’occidente e anche Palermo offriva opportunità per un certo tipo di fotografia.
La passione per la musica e il suonare una band costituisce per Fabio un’ottima chiave per entrare a pieno nel suo mondo giovanile e nell’attualità del tempo.
Le fotografie d’inizio, volte a fotografare gli amici coetanei, che ordinariamente frequenta, sono un’ottima palestra per allenarsi nella cattura dell’immagine e affinarsi sulla ricerca del giusto momento di uno scatto volto a cogliere l’attimo fuggente.
L’ampio reportage da lui realizzato sui movimenti studenteschi, specie quello riguardante l’occupazione della Facoltà di giurisprudenza in via Maqueda a Palermo, costituisce oggi un prezioso documento e diventa un esempio del suo personalissimo metodo di narrazione.
È forse o anche quest’ultimo aspetto, accompagnato alla necessità lavorativa, che gli permette o gli facilita la possibilità di poter entrare nell’entourage di Letizia Battaglia e Franco Zecchin impegnati ad operare nel L’Ora.
Il biennio trascorso nel Giornale L’Ora apre a Fabio opportunità per esperienze nuove, che però non collimano pienamente con la sua idea di fotografia, anche perché la sua visione della cronaca non predilige certo l’andare a documentare ripetutamente scene cruente di morti ammazzati.
Gli cade, quindi, a fagiolo l’assunzione stabile intervenuta intanto alla Regione siciliana in qualità di fotografo, che gli permetterà di poter ritornare al quel flaneur disincantato che osservava e coglieva ogni cosa seguendo il naturale istinto.
La nuova condizione gli consente solidità economica e di poter viaggiare con più frequenza; così da poter vedere altri mondi e cogliere momenti di altre realtà, fedele e rispondendo sempre alla sua vera indole. In ogni caso, nel tempo, usando il testo di una celebre canzone di Franco Battiato, Palermo costituisce ed è ancor oggi il suo “centro di gravità permanente” e la costante passione per la fotografia lo porta a continuare a cogliere tante immagini, mai banali, sia del territorio che di personaggi che si trova a incontrare.
I suoi reportage rappresentano indubbiamente dei tasselli che hanno congelato gli umori, gli odori e le atmosfere della vera Palermo che è riuscito a cogliere.
L’autore Sgroi, che si presenta oggi per venire a raccontare tanti aneddoti di storie vissute praticando la fotografia, mostrando quasi leggerezza e estrema naturalezza nella narrazione, sottolinea più volte il fatto di quanto il caso va a condizionare ogni fotografia, a prescindere ovvero indipendentemente da quanto può apportare il quid in più del talento, che rimane elemento indispensabile. 
Le sue convinzioni sull’importanza del caso si conciliano perfettamente con la fatalità tipica che è presente in molti meridionali che, con estrema serenità, vivono i momenti.
Come anche dimostrano le immagini proposte, il suo modo di fotografare non è stato mai rivolto alla spasmodica ricerca dello scoop, ma sempre al desiderio di scrivere con la sua reflex ciò che la sua mente riusciva a leggere.
Elemento costante nella esposizione della sua carriera fotografica è stato, quindi, un elemento che ho sempre condiviso e che, fino a ieri, quasi nessuno voleva riconoscere, specie coloro che si ritenevano già famosi o pubblicamente affermati come maestri di fotografia. In poche parole, nelle sue argomentazioni appare costante l’incidenza del caso.
Al di là del naturale talento deve esistere una regola e, soleva ripetere al riguardo un caro amico, “se non ti persuadi …. lascia perdere”.
Tornando al caso (o fattore C) l’aleatorietà è spesso sovrana nel tipo di fotografia denominata “street”, che è rivolta sempre alla cattura di un certo giusto sguardo/espressione, del riconoscere/immaginare a volo la situazione che matura e saper fermare la scena importante e l’accadimento di maggior rilievo che intanto succede.
Oggi questa peculiarità sembrerebbe essere più accettata e, anzi, è quasi diventata di moda.
La fotografia di Sgroi e il suo modo di fotografare conserva il sapore della genuinità che talvolta porterebbe a valutare semplice quello che semplice non è; anche per quella miscela che la contraddistingue e che lui usa e evidenzia come suo marchio di fabbrica. In specie laddove è riuscito a contaminare l’istinto con la fantasia che, con una vena di sana anarchia più o meno consapevole, lo porta a chiedere il permesso di poter fotografare sempre e dopo che ha già effettuato lo scatto.
Per concludere, ritornando alla citazione cinematografica d’origine (utilizzata in passato in un altro scritto), con la sua narrazione in fondo Fabio Sgroi forse ha voluto ricordare, al folto numero di presenti nella sede sociale dell’Arvis, quello che era il pensiero centrale del famoso film del 1989: "Carpe", "Carpe diem", "Cogliete l'attimo, ragazzi", "Rendete straordinaria la vostra vita"! "Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità, succhiando tutto il midollo della vita. Per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto".

Buona luce a tutti!

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