COLORE O NON COLORE? DISQUISIZIONI FORSE NON TROPPO COMUNI SULL’AMLETICA ANNOSA QUESTIONE

Per noi appassionati di fotografia la controversia tra colore e bianco/nero è questione nota, argomento che sovente ha diviso e tutt’ora divide le due fazioni in discussioni anche animate.
Non sono qui per schierarmi con l’una o l’altra parte, sia perché le motivazioni delle due correnti di pensiero sono più che note, sia perché quando fotografo uso entrambe le modalità a seconda dello scopo che mi prefiggo. Piuttosto vorrei cercare di analizzare il più oggettivamente possibile, per quanto concesso, i motivi per cui la querelle è nata e mantiene sempre un livello di interesse notevole.
Partiamo quindi da fatti reali ed inoppugnabili.
I nostri occhi sono biologicamente strutturati in modo da poter distinguere la realtà ed il mondo circostante non solo per le sue forme in modo tridimensionale, ma anche e soprattutto per i colori con tutte le innumerevoli sfumature che li contraddistinguono. Questo tipo di visione così particolareggiata è anche uno degli elementi che contemporaneamente allo sviluppo cerebrale ha permesso alla nostra specie di evolversi in modo così massiccio rispetto ad altri mammiferi.
Come ho già scritto in altra occasione, l’abilità umana di esprimersi anche attraverso la creazione di immagini di diverso tipo è avvenuta per millenni attraverso una rappresentazione realistica e/o simbolica del mondo e dell’ambiente, quindi a colori.
L’invenzione della fotografia ha letteralmente rivoluzionato questa capacità rendendola più accessibile e via via più popolare, invenzione straordinaria per il XIX° secolo ma ancora piuttosto complessa ed allo stato iniziale dal punto di vista tecnologico.
Impressionare una lastra rigida o una pellicola utilizzando la luce e portando poi in evidenza l’immagine attraverso un processo chimico permetteva “solamente” di rivelare luci e ombre senza riuscire a scomporre la luce nelle sue differenti lunghezze d’onda che costituiscono i colori.
La conseguenza di questo limite tecnologico era, ed è stata per parecchio tempo, trasformare la realtà in qualche cosa di diverso attraverso una percezione alterata rispetto alla visione naturale dell’occhio.
Trasformare un mondo colorato in una rappresentazione monocromatica fatta di sfumature dal nero al grigio fino al bianco ha significato dal principio porre un filtro importante tra la realtà ed il prodotto finale non per scelta stilistica ma semplicemente per limite tecnologico oggettivo.
Già verso la fine del 1800 però si percepiva la necessità di rappresentare la realtà fotografata con i colori, il primo tentativo di realizzare una foto a colori risale infatti al 1861, ma già prima quando le prima fotografie erano dagherrotipi si cercava di colorarle dipingendole.
È solamente nel 1912 che compare la prima pellicola che si impressiona direttamente a colori e solo molto più tardi, nel 1932 la foto a colori diventa una realtà tecnologica confermata.
Qui inizia la querelle tra i cultori della tradizionale fotografia e gli innovatori che ritengono superata la foto vecchia maniera.
Come ogni novità anche i rullini a colori inizialmente sono in parte osteggiati e considerati inferiori dai fotografi professionisti, ma il perfezionamento tecnologico in breve tempo rende la fotografia a colori dominante in tutti i sensi senza però far scomparire del tutto la sua matrice ed “antenata” a cui restano fedeli molti fotografi professionisti ed amatori.
Si rende necessario quindi, proprio per la natura umana di dover/voler spiegare le proprie scelte per renderle accettabili e condivisibili, trovare una connotazione specifica concettuale che giustifichi la coesistenza e la scelta del colore o del bianco e nero in fotografia. Ecco dunque che siamo arrivati alla ormai accettata e certificata spiegazione che togliendo il colore si pone quel filtro tra noi e la realtà che permette di leggere le immagini come significati più che come significanti, regalandoci anche la possibilità di modificare il significato a nostro piacimento.
Quanto all’uso del colore se la scienza associa ad ogni colore uno specifico effetto sulla psiche umana potremmo ritenere che ciò abbia valore quando i colori vengono utilizzati con il preciso scopo di influenzare le persone per esempio nella grafica pubblicitaria piuttosto che nella tinteggiatura degli ambienti chiusi, o nell’uso dell’illuminazione colorata, più improbabile penserei che una fotografia a colori possa avere un tale potere su chi la guarda; potrà creare maggiore suggestione sicuramente, avere un forte impatto visivo ma non al punto di condizionare il nostro comportamento , certamente non più di quanto lo faccia la realtà coloratissima che abbiamo intorno.
Concludendo direi: riteniamoci fortunati oggi nel poter vivere la nostra passione godendo dell’ampia libertà di scelta che la tecnologia contemporanea ci offre: colore o bianco/nero, analogico o digitale, fino all’ultima frontiera che si sta per varcare l’intelligenza artificiale, ma questo è un altro discorso che merita riflessioni a parte.
Nulla di tutto ciò può toglierci la gioia e la soddisfazione di interpretare il mondo come meglio lo riteniamo e di regalare agli altri la nostra visione condividendo la bellezza.
L’importante è, come in tutte le cose, avere coscienza delle scelte che si operano.
Buona luce!

© Monica Pelizzetti

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