QUANDO LE IMMAGINI RACCONTANO - Riflessioni e pensieri in libertà

La necessità di “raccontare” fa parte della psiche umana ed è presente in ognuno di noi come elemento essenziale della comunicazione.
Fin dal momento in cui gli uomini hanno sviluppato capacità comunicative evolute hanno utilizzato parole ed immagini per raccontare la loro quotidianità, le esperienze, le emozioni, il senso di spiritualità e di religiosità.
Possiamo certamente dire che il segno grafico e l’immagine sono antiche come l’uomo stesso e molto più della parola riescono a colpire l’immaginario personale e collettivo; hanno quindi il potere di tramandare ciò che raccontano in modo tale che il tempo non modifichi il loro significato, cosa che il linguaggio verbale orale non è in grado di assicurare così efficacemente.



Tanto più si sono evolute le abilità di espressione grafica nel corso dei millenni, quanto più le immagini hanno acquisito maggiore importanza nella narrazione dando origine ad un vero e proprio linguaggio iconico dotato di una sua precisa struttura, un processo che è continuato modificandosi e migliorandosi fino alla metà del IXX° secolo ma, dal punto di vista della produzione, riservato a pochi eletti che avevano abilità specifiche nell’ambito della pittura. Non possiamo dimenticare come dall’antichità fino al rinascimento ed oltre all’arte pittorica religiosa, con le sue immagini potenti e sovradimensionate, fosse assegnato un ruolo di insegnamento e catechesi verso il popolo incolto ed alla pittura laica un ruolo politico e celebrativo.
Il cambiamento epocale inizia nel 1839, anno ufficiale a cui si fa riferimento per l’invenzione della fotografia; da quel momento in poi la produzione e la fruizione delle immagini comincia a diffondersi e diventare popolare, accessibile a tutti.
L’accelerazione di questo fenomeno si è fatta vorticosa fino ad arrivare ai nostri giorni ed a procurarci una sorta di dipendenza da “immagini social”, una voracità visiva consumistica ed effimera fatta di superficialità narrativa denominata “stories” che può portare all’assuefazione e alla conseguente perdita di senso critico in chi scatta/posta ed in chi sbircia/scrolla.
Ma torniamo indietro di qualche passo per cercare di capire che cosa raccontavano i grandi maestri della fotografia del XX° secolo e come lo raccontavano.
Sarebbe troppo lungo l’elenco dei fotografi che con i loro scatti ci hanno raccontato memorabili momenti di vita quotidiana, di gioia, bellezza, dolore, guerra, storia vissuta, di vita sociale, cultura, natura racchiusi in un solo scatto o in un’opera completa.
Fatto salvo che la fotografia come ben sappiamo può rappresentare l’istante congelato di una realtà autentica, verosimile, realistica, modificata, falsificata quanto essere frutto di visioni fantastiche partorite dalla più fervida creatività del fotografo-autore; resta pur vero il fatto che ogni immagine, ogni fotografia parla raccontando fatti, luoghi, persone, cose che pur lontano nello spazio e/o nel tempo toccano la nostra sensibilità trasmettendoci le emozioni e le sensazioni che quei soggetti, reali o meno che siano, stanno vivendo.
Quella foto ci narra un pezzetto della loro vita che può avere similitudini ed affinità con la nostra oppure essere così diversa da colpirci come un pugno allo stomaco, ci tocca nel profondo e quindi ci parla di qualcosa che coinvolge emotivamente o quantomeno suscita il nostro interesse e la nostra curiosità quindi RACCONTA.
Come la parola scritta trasmette contenuti e messaggi che lasciano spazio all’interpretazione personale del fruitore, così anche la fotografia non si limita a veicolare visioni univoche ma permette all’osservatore di interpretare la narrazione mediandola attraverso il proprio background culturale e la propria sensibilità attribuendogli significati personali anche divergenti dai significanti percepiti dalla sola vista.

E.Erwitt

S. Mc Curry

Nick Ut

S. Salgado

Questo vale particolarmente quando i soggetti del racconto sono persone, ma non di meno possono “raccontare” le immagini di soggetti inanimati, animali o paesaggi che vogliono documentare situazioni particolari e suggerire narrazioni implicite.

A.Adams

Ma noi che non siamo fotoreporter nè famosi fotografi cosa possiamo raccontare e soprattutto come possiamo raccontarlo?
La vita stessa, il mondo che abbiamo intorno, la quotidianità che viviamo in famiglia o sul lavoro, gli ambienti che frequentiamo le esperienze che facciamo, le nostre conoscenze ci possono offrire tantissime opportunità di “raccontare” la nostra visione della realtà, tanto quanto storie verosimili o fantasie che da essa possono nascere. I nostri occhi vedono, la fantasia immagina e traccia percorsi che con la fotocamera (e perché no col cellulare) trasformiamo in immagini.

M.Pelizzetti

M.Pelizzetti

M.Pelizzetti

M.Pelizzetti

Ciò che conta veramente è non cadere nella “smania da social” evitando di lasciarsi contagiare dalla banalità dilagante e perché questo avvenga è necessario pervenire alla CONSAPEVOLEZZA dello scatto avendo ben chiaro il cosa, il perché, il come, il quando, il dove.
La coscienza di ciò che si sta facendo consiste nel sapere perché raccontare quella certa cosa ed il decidere come raccontarla in modo efficace. Colore o b/n? Quale formato? Quale tecnica? Quale composizione? Quale obiettivo? Scatto singolo o portfolio? Audiovisivo? Stampa? Web? Tutte queste domande (e molte altre...) sono alla base di una “fotografia consapevole” che a sua volta è l’elemento essenziale di un racconto fotografico.
Un racconto è qualcosa di duraturo, pensato e strutturato per dire qualcosa di noi o di altri/o, qualcosa che può avere un senso ed un significato anche quando coglie l’attimo in uno scatto. Non troppo difficile se vogliamo progettare un racconto a tavolino, ma potrebbe sembrare complicato riuscire a seguire questo percorso e fare magari una foto efficace colta al volo. Può esserlo le prime volte; in realtà è una questione di esercizio ed abitudine all’ attenta osservazione accompagnata dall’ istinto che ci attrae verso una determinata scena o fatto che ci capita di vedere e fotografare. Anche in un secondo momento, quando si tratta di selezionare le immagini portate a casa, possiamo prenderci tutto il tempo per ragionare sul perché abbiamo fatto proprio quella foto e in quel modo. Una buona dose di autocritica è la miglior consigliera!
In questo modo si passerà dalle “storie”, termine che di questi tempi evoca negativamente (secondo me) la superficialità e la durata brevissima delle social stories, al racconto vero e proprio che esprime la profondità di un pensiero e racchiude un lavoro di preparazione e realizzazione di tipo autoriale destinato a mantenere il suo messaggio ed il suo valore nel tempo sia che si tratti di un singolo scatto che, a maggior ragione, di un portfolio o di qualsivoglia forma editoriale.

Un ringraziamento speciale a Toti Clemente che mi ha concesso questo spazio per condividere pensieri e riflessioni. Buona luce.

Monica Pelizzetti (Tutor fotografico Fiaf)

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