Verba volant, scripta manent

Nel saggio del 2014, pubblicato nella versione italiana da Bollati Boringhieri nel 2017, “Le menzogne del web”, Charles Seife scrive come “poi, cinque millenni fa, una nuova invenzione ci inondò con la sua luce radiosa, liberandoci dall’oscurità del tempo antico: la parola scritta”. In precedenza, infatti, “l’informazione doveva essere comunicata da una persona all’altra”. Inoltre, “il supporto su cui veniva registrata l’informazione era il cervello umano” con tutti i rischi e le imperfezioni connesse, legate alla trasmissione nel tempo.
In fondo la parola, per la specie umana, costituisce di fatto l’evoluzione di un guaito, di un barrito, di un cinquettio, di un urlo, di un grido, di un sussurro ……. e anche se il famoso detto latino “Scripta manent” non assicura assolutamente l’eterno.
Sappiamo bene che può garantire solo una lunga vita “al relativo” …… perché la scrittura è legata allo spazio, appunto al tempo, alla dimensione del nostro essere e della nostra avventura nell’esistere.
Comunque scrivere costituisce di per sé una progressiva evoluzione del nostro status, che tende a mantenere stabili e trasmettere fedelmente un insieme definito di parole, fissando ampi discorsi, disquisizioni, messaggi, articoli, poesie, poemi.
Seguendo questa logica, quindi, si potrà anche scrivere sotto dettatura, senza anima …… ma per l’homo sapiens scrivere è anche …….
manifestare un sentimento,
fissare i termini di un contratto,
consolidare regole per la pacifica coesistenza,
annotare semplicemente la spesa da fare,
imbrattare un muro,
dipingere un quadro,
descrivere ciò che riusciamo guardare con i nostri occhi,
riempire le pagine di un diario,
cercare di raccontare,
la bramosia di lasciare una traccia ai posteri,
una forma unica per fantasticare e, magari, utile a far sognare,
insomma, un testimoniare di esistere, di esserci stati.
Facendo seguito a questa disquisizione in premessa mi riallaccio anche al recente saggio di Massimo Recalcati (“A libro aperto. Una vita e i suoi libri”), con il quale l’autore viene a sostenere che non sono i libri a conquistare gli uomini ma, viceversa, che sono questi ultimi a catturarci e che le nostre letture giovanili sono ciò che andrà a costruire le fondamenta del nostro modo di essere.
Nello specifico, sostiene che “I libri sono tagli nel corso delle nostre vite. Ogni incontro d'amore ha la natura traumatica del taglio” e che “L'incontro con un libro è un incontro d'amore”. 
Nel corpo del volume elenca tutta una serie di opere, più o meno classiche e variegate, che lo stesso ha avuto modo di leggere e assorbire e le intreccia con racconti del suo vissuto e con gli studi filosofici e di psicanalisi.
Per quanto ovvio, in qualche modo la stessa cosa può con certezza dirsi per la fotografia.
Ciascuno di noi, al di là dell’indole intrinseca, determinata dalla sensibilità e dalle caratteristiche  del proprio DNA, studia e si rifà sempre a autori e artisti che hanno già tracciato solchi, prima di noi.
In genere, pertanto, nulla di nuovo si muove sotto il sole, se si escludono i pochi eretici pionieri che esistono e ci saranno in ogni tempo e che, se dotati, riescono ad aprire nuove strade.
Buona luce a tutti!
 © Essec


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