Quando basta una sola immagine.

Per esporre un racconto si ricorre a una voce narrante ma per renderlo stabile e far sì che ognuno lo legga e lo immagini nel tempo e nello spazio a propria dimensione, genericamente si ricorre alla scrittura.
In verità esistono altre metodologie adatte allo scopo ed una di queste è certamente la filmografia.
La fotografia poi, in particolare, consente di comporre più facilmente con elementi che consentono formulazioni di messaggi completi.
Ci sono diverse tecniche al riguardo e fra queste si segnalano gli slide show e i portfolio.
Entrambe si compongono di una serie d’immagini, talvolta associate anche ad una colonna sonora, realizzate con softweare dedicati nel primo caso, con la semplice stampa di un numero limitato di fotografie da sottoporre a visione nel secondo.
In ogni modo, la sequenza presuppone un’introduzione al tema, uno svolgimento del racconto e una chiusura finale.
Costante è al riguardo cercare di mantenere l'attenzione dell'osservatore, magari inserendo immagini migliori nell'introduzione, per invogliare al prosieguo, e nel finale per fissare meglio l'efficacia del messaggio voluto.
Tutto quanto premesso costituisce di certo una evoluzione della fotografia e la filmografia diffusa è oggi una prova evidente della efficacia evocativa di sequenze più o meno elaborate.
Direttori di fotografia e tantissimi altri esperti, giocano su luci, tempi e con colonne sonore, per suscitare sensazioni, evocare ricordi, trasportare l'osservatore nell’orbita del racconto.
Ma potremo mai mettere in discussione la narrazione che si riesce a dare con una singola fotografia?
Quanti di noi continuano a perdersi e a fantasticare dinanzi a una foto di Henry Cartier Bresson o di altri importanti fotografi di livello similare?
E' certo molto più complicato comunicare messaggi attraverso una sintesi concettuale, una poesia, una frase, un solo fotogramma ma fortunatamente esistono ancora soggetti in grado di fare ciò.
A scopo esemplificativo voglio in qualche modo cercare di illustrare questo con l'immagine che ho messo in copertina.
Possiamo dire che di regola le finestre incorniciano panorami e più in generale vedute esterne, aprendo verso la luce, ma se ribaltiamo il punto di osservazione siamo sicuri di non potere raccontare anche così un mondo altrettanto ampio?
Come detto, le finestre presuppongono fonti luminose, allargano amplificando orizzonti, ma se dal di fuori volgiamo lo sguardo ad un interno che può succedere?
Nell'esempio scelto si ha una visione profonda della solitudine; si osserva un’anziana signora, seduta davanti a un tavolo, intenta forse a consumare un pasto, comunque sola o se vogliamo con la compagnia virtuale di un personaggio che appare nello schermo della sua tv accesa. Il tutto induce a soffermarsi e a riflettere.
Non è un racconto complesso, efficace e completo anche questo?
Con l’ossimoro nella poesia che recita “m’illumino d’immenso” Ungaretti riuscì a sintetizzare e fondere i due elementi contrapposti, l’umano e l’infinito, il singolo e l’immenso.
Buona luce a tutti.
 © Essec

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