Workshop di Fotografia partecipativa: Impressioni e riflessioni

Chi ha, come me, pochi capelli o i capelli bianchi ricorderà certamente le conversazioni che nascevano spontanee fra quei viaggiatori sconosciuti che si accompagnavano in treno per un lungo viaggio. All’inizio ci si manteneva nell’informale, con un buon giorno o un buona sera; i saluti finali, dopo l’arrivo nella stazione, dopo aver partecipato reciprocamente ai racconti della propria vita, erano quasi sempre intensi; in quel momento sinceramente speranzosi di un incontro futuro che, regolarmente, non sarebbe mai più accaduto. 
Ecco, io ho vissuto questo laboratorio come una esperienza simile, in uno scompartimento più ampio e confortevole, ma anche qui con passeggeri variegati e mai prima conosciuti, di disparate età e genere, tutti accomunati dall’interesse per la fotografia. 
Non so se chi partecipava si approcciava pienamente disponibile all’operazione, ma l’esperta conduttrice ha da subito posto in essere paletti e, con la sua efficace strategia, una volta presi idealmente per mano, anche i più restii si sono affidati alla guida. 
L’inizio del corso ha mostrato lavori particolari e intensi realizzati nell’ambito di terapie di recupero, legati a percorsi post-trauma ovvero a difficili esperienze di vita vissute da soggetti terzi a noi sconosciuti. Il coinvolgimento nelle visioni è stato del resto un modo per avvicinare con leggerezza il gruppo all’obiettivo del progetto ed introdurci ad un’auto-analisi profonda che, altrimenti, a freddo, sarebbe stata difficile se non impossibile. 
L’approccio graduale era quindi fondamentale per aprire automaticamente non solo porte ma anche finestre ed ogni cosa che consentisse di cogliere a pieno l’avvento di una nuova luce. 
Personalmente non ho mai ritenuto utile l’opera di psicanalisti o sociologi, se non in taluni casi, dove hanno una valenza insostituibile. Ciò potrebbe anche derivare dal fatto che nel mio vissuto mi metteva sempre a disagio lo sguardo penetrante e indagatore di un mio caro amico psichiatra, che aveva a che fare coi matti ……. Cercavo di sfuggirgli; in quello status discutere con lui risultava sempre pesante. 
Tornando al WS, al di là dell’esternazione prodotta da ciascun partecipante, nel relazionare e relazionarsi, di certo sono cadute in ognuno le proprie barriere mentali …… del resto, al di là delle parole, si sapeva che l’obiettivo finale era quello di raccontare e narrarsi attraverso un nuovo linguaggio: quello fotografico. 
Gli esperimenti e la pratica attuata nel secondo giorno, hanno messo a frutto il canovaccio trasmesso nel giorno precedente dall’abile pilota; tutti i passeggeri dell’occasionale torpedone avevano infatti qualcosa da comunicare. Ognuno ha prodotto un suo lavoro specifico. Qualcuno l’ha gridato senza che in realtà si sentisse un filo di voce, altri hanno elaborato all’interno le sensazioni provate e, deliberatamente, non le hanno esternate al gruppo, qualcuno ancora, tra una battuta e l’altra, si è reso disponibile a farsi leggere. 
In ciò, ciascuno ha comunque immaginato i propri colori, altri - giocando abilmente con tecniche fotografiche – hanno approntato racconti minimali densissimi, sfruttando al massimo l’espressività penetrativa della fotografia in B/N. 
In conclusione, una bella esperienza. Un’occasione che ha consentito di entrare in un anfiteatro diverso, con attori e musiche apparentemente estranee al nostro quotidiano (come accade, per esempio, nelle canzoni di San Remo che ascolti per la prima volta) e con un direttore d’orchestra impegnato a dirigere un concerto “sperimentato”, per me originale, ricco di immaginazione, fantasia e assolutamente nuovo. 
© Essec

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