"Fiori di Campo" di Marina Galici - Fino al 22 aprile in mostra alla Biblioteca Storica Comunale di Palermo



L’articolo di Nuccio Condorelli su Lisetta Carmi, pubblicato nella rubrica “Raccontare per Immagini”, potrebbe pienamente adattarsi a descrivere l’essenza della personale fotografica “Fiori di Campo” di Marina Galici, inaugurata ieri dal “CollettivoF” e che permarrà fino al 22 aprile alla Biblioteca storica comunale di Palermo (mostra visitabile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13, il mercoledì dalle 9 alle 17).
Sono infatti moltissimi i punti che accomunano la narrazione per immagini proposta dalla Galici rispetto al modo di raccontare usato dalla Carmi.
Le fotografie di Marina Galici esposte rappresentano in modo esaustivo un ampio panorama dell'ormai stanziale popolo Rom, descrittive del loro mondo e non solo.
Gli apparenti semplici scatti in mostra, accomunano sintesi di estetiche e sentimenti che formano, di fatto, un tutt’uno esaustivo dell’identitario di una comunità complessa quale quella degli Zingari. 
Ogni fotografia esposta viene a costituire, pertanto, la pagina di un racconto ricco di dettagli e spesso intriso di significati.
Le figure e gli ambienti non vengono colti per enfatizzare apparenze, poiché quanto fotografato di regola va oltre quello che il nostro occhio riesce a vedere.
La lettura di chi osserva è costantemente portata ad ampliare il discorso che, volutamente, il più delle volte rimane solo accennato; mentre l’editing dell’intera operazione è confezionato in modo tale che ciascuno venga chiamato a implementare il racconto, seguendo l’istinto della propria sensibilità e le conoscenze della propria cultura.
“Fiori di Campo”, con il termine “campo” inteso, come riferito dalla stessa Galici quale “estensione piana” o “ghetto”, è pertanto una mostra fatta sì d’immagini esplicite ma che, al contempo, intrigano molto.
La visita della mostra coinvolge, inducendo a vedere e rivedere ogni fotografia più volte (peraltro nella location espositiva, forse non a caso, il circuito quasi simbolico del percorso di lettura induce proprio a questo), per poi riscoprire ad ogni passaggio sempre nuovi dettagli, che avviano a riflettere e, magari pure, a ripensare ai tanti preconcetti che nell’ordinario condizionano il nostro vissuto quotidiano.
Più in generale, in merito ai contenuti e ai significati espliciti e concettuali dell’arte fotografica, se è vero che la fotografia è stata inventata in Francia e ha avuto pieno sviluppo negli Stati Uniti d’America del primo novecento, è anche vero che la cultura fotografica era già da molto tempo presente e pienamente applicata (in forma pittorica, almeno) nella più antica iconografia europea, con tutto quello che ciò comporta.
Le realizzazioni prevalentemente scientifiche e documentaristiche che hanno caratterizzato l’evoluzione americana non potranno pertanto mai costituire un unico punto di riferimento quale incipit d’espressione artistica e gli utilizzi tecnologici fatti dai fotografi europei ne testimoniano del resto lo spessore e la valenza.
Al riguardo, nella presentazione della mostra di Marina Galici è ben esplicitata la sua componente autoriale che, con le sue sequenze, ha quasi innescato un rito teologico e mistico proposto in chiave decisamente laica.
La narrazione fatta del suo lavoro - nato quasi per caso nel 2011, ultimato con lo sgombero del Campo Rom di Palermo avvenuto nel 2019 e solo in apparenza leggero - include introspezioni e rivisitazioni di convinzioni assunte per certe; risultando gradevole e comprensibile, perché intenta a raccontare ambienti che, ancorché pensati con diffidenza, con le sue foto mostrano la realtà raccolta, con fotografie mai rubate ovvero viste dal buco della serratura.
Una recensione sul libro “Le cinque vite di Lisetta Carmi” di Giovanna Calvenzi, tratta alcuni degli argomenti accennati e che sono stati ampiamente esposti dalla Galici durante il vernissage della mostra.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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